Tre bacetti

E’ la una e ventotto, una cosa nuova di me è che ho iniziato a soffrire di insonnia, forse perché per la prima volta c’è qualcuno che la condivide con me e, seppur attraverso un telefono, mi tiene compagnia.

Bene, questa sera ho passato una serata di Monopoli alquanto soddisfacente dal punto di vista economico, e M mi ha presentato quella che è stata la sua migliore amica, ancora di salvezza e persona di fiducia durante l’anno che ha passato in America. Una bella ragazza, tedesca, molto tedesca. Credo simpatica. Più che parlarci, l’ho osservata… e ho provato a mettermi nei suoi panni. La scena che secondo me è stata più comica per lei sono stati i tre bacetti che ci siamo dati tutti prima di andare via. Essendo in nove, immagino quanto possa essere sembrato caotico.

Julia, I understand you, I don’t like giving kisses here and there but some people here find unpolite not to give the three kisses“, le ho detto per rassicurarla.
Nevermind, it’s all about traditions“, mi ha risposto lei, in tutta la sua tedescosità.

Inevitabile pensare ai discorsi tipici degli italiani “Siamo speciali proprio perché siamo casinisti”, “Ma noi siamo creativi”.
Accettabile. Specialissimi. Dei veri intrattenitori.
Ma ragazzi, guardiamoci in faccia e poi guardiamo in faccia Julia. Quanto spesso e volentieri ci rendiamo automaticamente delle macchiette? Carne da presa in giro.
E io amo l’Italia e gli italiani. E’ casa mia e non la cambierei con nulla al mondo

Non sono una di quelle che credono nell’omologazione, nella perdita dei costumi… dico solo che a volte facciamo di tutto per sembrare più italiani di quanto lo siamo davvero. Particolare da dire ma spero sia uno spunto di pensiero per qualcuno.
Lo è sicuramente per me, ho dato davvero il peggio della mia italianità stasera senza quasi rendermene conto. E sono certa che Julia sentisse un sacco di feelings, ma sicuramente non era a suo agio.

 

Crepa.

Quando ero piccolina mi intrigavano le storie sui fantasmi, così, quando in cantina scovai un librone che si chiamava Viaggio nel mistero, me lo portai in casa e lo sfogliai per qualche giorno, interessata e spaventata allo stesso tempo. Il problema era la sera, quando magari dovevo andare in bagno, e per arrivarci dovevo attraversare il corridoio buio. La suggestione mi faceva provare la sensazione che dietro di me ci fosse qualcuno, un’ombra scura che mi aleggiava sulla schiena, l’ennesimo personaggio di qualche strampalata storia di spiriti che avevo trovato sul librone.

Crescendo ho perso questa paura, anche grazie alle conclusioni spirituali/religiose a cui sono giunta negli ultimi anni, che non vedono come possibile niente che non sia anche tangibile. Materialismo panteista, così mi piace definire questa visione. Ma è un’altra storia.

Ho perso la paura del buio e dei fantasmi, ma non quella sensazione di peso sulla schiena. Mi rincorre in certi frangenti della mia vita, quelli in cui devo scappare da qualcosa, o da una tentazione.

Nella fattispecie, da qualche giorno mi balza alla mente l’idea di scrivere a V, è un desiderio ardente quasi quanto quello di abbracciarlo forte.

Spengo la luce convinta che dormire mi possa aiutare a non pensarci, a resistere, e invece no, il pensiero mi attanaglia, il buio enfatizza solo quello che provo. La voglia pazza di rivederlo.

Non so cosa darei in questo momento per vincere il mio (sempre sia lodato) cervellino, per togliermi le difese, per staccarmi dall’orgoglio e mettermi al servizio dal mio cuore.

Ma purtroppo il mio cuore è ritardato, e questo la mia testa lo sa bene, quindi va preso e messo a nanna. Ci pensa il sistema nervoso a controllare quella sensazione di spintoni sulla schiena.
Spero resista ancora per un po’.

 

Boom. Dimenticate per sempre le parole qui sopra.

E maledetto sia il giorno in cui ho lasciato che V stringesse rapporti coi miei amici. O sia benedetto.

Non lo so.

Serata tranquilla di karaoke con delle amiche di lunga data, in un bar che sta proprio di fronte a quel semaforo al quale mi sono fermata un anno e mezzo fa per abbracciarlo per quanto mi era permesso dalle cinture di sicurezza ancora allacciate, affogando tra le lacrime disperate sue, e tra le mie silenziose, per accarezzargli la testa e per chiedergli di smettere di essere così triste che tanto c’ero lì io.

Il discorso cade casualmente su di lui: “Sono entrata ieri nel bar di Cicciommerda, mi ha detto che V non lavora più lì”, esordisce Deb, come se fosse uno scoop.

“Già so, a mie spese purtroppo. L’ho incontrato”, ribatto.

Salta su Chiara: “Ecco Jude, a proposito. Non so se ne vuoi sentire parlare o se ti interessa, ma nel caso devo dirti una cosa non tanto bella su di lui”.

Entro in ansia: gli sarà successo qualcosa? Sta male? Cos’ha? “No, dimmelo, non preoccuparti”.
“Forse è meglio che leggi tu stessa”.
Mi mette davanti un cellulare che non ho idea di come funzioni, cerco i tasti ma non ci sono perché è di quelli lì touch screen e io non ci sono abituata, sono affezionata da anni al mio telefonino del pleistocene e nulla ci può separare. Comunque, distinguo nettamente una conversazione Facebook, iniziata da lui, vari “Ciao”, alcuni “Come va”, qualche “Solita vita”. Un solo “Ma Jude tu la frequenti ancora”?

E poi il discorso era tutto tipo “No, perché noi abbiamo più o meno litigato, ma in realtà io so che lei ha preso il minimo episodio insignificante per darmi addosso e ne ha approfittato per chiudere perché non ce la faceva più a starmi vicina perché era innamorata di me. Mi manca ma non è più la persona che conoscevo, se la tira, si crede figa, sembra diventata una super girl, non trovava mai tempo per vedermi perché era sempre in giro con i suoi nuovi amici, insomma mi dispiace perché era una persona fondamentale nella mia vita ma non so se la accetterei di nuovo così com’è”.

Ah, lui, porello, non accetterebbe me. Io non troverei mai tempo per vederlo, quando per un anno ad ogni appuntamento mi ritrovavo sola o con un sms poche ore prima che mi diceva che no, anche quella volta non ci potevamo vedere. Io sarei quella che se la tira, talmente tanto da andare a Londra e rifarmi il guardaroba con 9 sterline da Primark, o da andare a ballare, per non spendere soldi, nel buco di discoteca che c’è a pochi chilometri da casa mia, e ogni santa volta lui non poteva venire con me perché era all’Hollywood o chissà dove ancora, ad una serata di gala per la nuova collezione di gioielli pacchiani del suo ragazzo/homo (sexual) neanderthalis. E poi i miei magici nuovi amici, che sono quelli con cui faccio le tendate e le notti a giocare a Monopoli. Questo è essere una super girl?

 

Non mi accetterebbe più per come sono ora. Grazie al cielo.

Ero una che scappava.

Ero una che piangeva appena era in camera, da sola.

Ero sempre in attesa che l’occasione cadesse dal cielo.

Ero tutte queste cose. Ma sottolineo “ero”.

Quello che sono ora è la cosa che più mi rende fiera.

Affronto la vita, di petto, anzi, di tette, in ogni frangente.

Non scappo più.

Non piango più.

Do il cento per cento in ogni singola cosa che faccio, lo sto facendo anche in questo momento, cercando di abbandonarlo.

Anche ora che la cosa che mi fa più rabbia è ammettere che su un punto, uno solo, ha ragione.

Ero innamorata di lui.

 

Ero.

 

 

(la morte non si augura a nessuno, anche se sarei tentata, ma a lui una bella malattia venerea starebbe bene. Orsù, maledizione wordpressiane, calate su di lui!)

Il primo taglio è il più profondo

“The first cut is the deepest”. Cat Stevens già lo sapeva.

Sono andata a dormire presto, ridendo per gli assurdi messaggi che Ale mi mandava da ubriaco, col buonumore e sperando di non sognare cose troppo astruse.
Avevo appena passato una giornata bellissima con le mie amiche di sempre e le rispettive famiglie, avevo ballato un lento con papà (ha dovuto approfittare dell’occasione perché non mi sposerò mai) e anche Raf mi stava quasi simpatico. Marti e Deb sono le solite amiche con cui ci si trova sempre bene, anche dopo anni, e poi c’era questo ragazzo dalla carnagione quasi di legno, Sam, sedici anni e mannaggiammè conosceva tutte le canzoni dei Beatles (dopo una sfida estenuante a colpi di titoli e ritornelli, ho comunque vinto io). Stavo veramente, veramente bene.
Sono riuscita anche ad addormentarmi subito, leggera e allegra.

Bzzzzzzz. Bzzzzzzzz. Maledizione, ho lasciato il telefono acceso.
Che poi per me dormire è l’attività più appagante della giornata, chiariamo, quindi già il fatto che mi si interrompa implica nervosismi vari.
Per abitudine controllo lo schermo, mezza assonnata. V. Erano anni che non ricevevo un suo sms nel cuore della notte, anni in cui ci ho sempre sperato. Se mi svegliavo, la prima cosa che controllavo era il telefono per vedere se magari il miracolo fosse avvenuto, ma non avveniva mai, se non quando stava tanto, tanto male e aveva solo me, solo e soltanto me. E io ho davvero fatto di tutto in quel periodo, mi sono veramente fatta in quattro per aiutarlo e per superare quella fase, perchè lo sentivo come un mio dovere; perchè lo amavo così tanto. Ma così tanto. Avevo continue sensazioni brutte e gli scrivevo per vedere se stesse bene, e le mie sensazioni erano sempre vere, c’era sempre qualcosa che non andava, prendevo la macchina, a qualunque ora, litigando coi miei, e correvo da lui. Dovevo. Ricavavo un “Grazie, sei la mia migliore amica”, e godevo quanto potevo ogni abbraccio e ogni sua lacrima, perchè potevo avere solo quello di lui, l’amore più forte della mia vita.

Ho letto questo messaggio senza capirlo, mi sembrava quasi rabbioso, c’erano tanti “Mi fido di te” che non riuscivo a collocare, tanti “Ho bisogno di parlare”. Tante cose che avrei voluto leggere a quei tempi.
Ma non ora.

E oggi, di nuovo, mi chiedo per quale motivo il suo sms mi abbia destabilizzata così tanto quando in fondo non era niente di che, era come sempre il mio amico che mi chiedeva aiuto, come in quell’aperitivo qualche settimana fa. Tranquillo. Cioè, si può respirare.
Però non ho fatto altro che pensarci, tutto il santo giorno, nemmeno rileggere i messaggi di Ale ieri sera mi ha fatto ridere, stamattina. Nemmeno la Sissi e i suoi trip; ok, lei mi ha fatto ridere, ma dentro ho ancora un taglio profondo.

E’ che appunto, come disse Cat, il primo taglio è il più profondo.
Amerò di nuovo come ho amato lui? Anzi, ne avrò di nuovo il coraggio?

Sabato?

Domenica mattina. Sobria, riposata, pronta per la festa di compleanno a sorpresa per il papà della Deb.
Ultimamente dubito sempre di più dell’esistenza dei sabati, se il venerdì sera sono uscita.
Ho invece riscoperte le domeniche, col freddo e la pioggia fuori, come oggi, e una nuova puntata di New Girl (guardatelo, è stupendo) ad aspettarmi.
Le mie amiche invece sono andata a sentire gli Alpaca Sports progettando di prendere il treno stamattina: problema, sciopero. Quindi penso che resteranno lì fino a lunedì. Non sono mai stata così contenta di essermi persa una serata!

E niente, ho poco da dire, me ne rendo conto, però la mia vita sta andando secondo i piani. Tutto. Non mi posso lamentare di nulla se non del vomitino facile nei week end, ma odio le persone che si piangono addosso per cose che potrebbero benissimo evitare e che si sono scelte loro, da sempre. Quindi non mi piangerò addosso e continuerò a bere quantità ingenti di acqua.

Malefici brutti.

Di nuovo qui, con il piumino sulle spalle, lo stomaco sottosopra, e un mal di testa incredibile. Quando capirò che non c’è più nulla di divertente in tutto questo? Passo metà della settimana ad aspettare il giorno della sbornia, e poi quello che mi lascia è soltanto acidità e amarezza, e non solo in bocca.

Ieri doveva essere una gran serata, di quelle che aspetti da tanto, per capire un po’ di cose, in parte, e soprattutto per passare qualche ora spensierata.
Appena la bottiglia di vino che mi sono scolata ha fatto effetto e Ale ha capito che era ora di smettere, per me, è arrivata la Fede, quella strana ragazza che non ha alcun ruolo nella mia vita se non quello di essersi messa col ragazzo che mi piaceva alle medie e di riempirmi il bicchiere di rum una decina di volte.
L’aria ad un certo punto si è fatta pesante, straparlavo, vomitavo, facevo discorsi astrusi con tale Nicola sul fatto che io non mi volessi mai sposare e sul fatto che lui, che era lì in qualità di migliore amico di non mi ricordo quale ragazza, mi stesse mentendo. “L’amicizia tra uomo e donna non esiste”, dicevo, le solite parole pesanti che solo chi le ha vissute può capire. E lui mi rispondeva che sì, avevo ragione e che sì, stava cercando di cambiare, senza successo, le cose. Avrei voluto abbracciarlo fortissimo e dirgli che lo capivo, forse l’ho anche fatto ma non riesco a ricordare. Stamattina mi ha guardata con una strana luce negli occhi, bella però.
Mi hanno messa a letto presto e Ale mi accarezzava la testa, ed era l’unica cosa che mi faceva stare bene, finchè non è arrivata la povera Ari. Il suo amico, quella specie di grandioso genio della gaiezza che io adoro oltre ogni limite, faceva apposta a iniziare qualche canzone che conoscevo per farmi cantare, e ce la faceva, puntava su un repertorio Script, Beatles e Nek (?) e ce la faceva in tutti i casi. Ho ripensato a lei, che lo segue ovunque, e al fatto che gli abbia detto di amarlo e al fatto che lui le abbia risposto “Ok, mi fa piacere saperlo”, e che lei è ancora lì. Ho dovuto parlarle della mia storia e attraverso essa speravo di farle capire che era ancora in tempo per salvarsi, per non ridursi come me. Mi ha capita, mi ha abbracciata, e spero che abbia capito anche lei qualcosa. Anche perchè quando mi fa: “Se succedesse a me una cosa del genere mi sparerei”, io le ho risposto “Ti procuro una pistola allora”.

E poi vuoto, e io, che con Deb e Erika inizio ad incolpare una sola persona di tutto questo, del vomito, della testa leggera. E non è Chicca, purtroppo. E’ solo, e come sempre, V.
Come sempre perchè ogni santa volta che non ho più il controllo di me, inizio a nominarlo, a tentare di spiegare a tutti che se sono così non è per colpa mia, ma sua, solo e soltanto sua. E questo fatto mi fa incazzare nel vero senso della parola perchè porco Judas, io ora, parlando così, lucida, non ci penso a lui, non mi interessa, non mi manca, vederlo non mi fa effetto ed è l’ultimo dei miei pensieri, o forse anche più sotto dell’ultimo. Non mi importa niente di lui.
Allora perchè, perchè ogni volta è così, che ad ogni sbronza lui è la mia più grande chimera? Che ogni volta non faccio che ricordarmi quanto tempo della mia esistenza io abbia buttato via, quanti pensieri, quante delusioni che potevo evitarmi? Perchè?

Ora sto bene, e di nuovo vorrei solo capire il perchè, nient’altro. Capire sotto quale strano maleficio mi hanno gettata.

Birthday presents

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E così, alla fine, ho accettato di festeggiare questo benedetto compleanno.
In anticipo perché, punto primo, non ne avevo voglia e quindi ho sfruttato la prima serata utile, e, punto secondo, perché avevo fatto una figura di merda col Raf e dovevo in qualche modo farmi perdonare (non è bello dire ad una persona “Sì, ci vediamo giovedì” e farti sorprendere pochi minuti dopo, pensando che lui fosse andato via, a dire ad una compagna di università “Col cazzo che ci vado giovedì“).
Va beh, alla fine non c’era A, non c’era V, ma c’erano G, Deb e il suo fidanzato romagnolo il cui accento mi mette il buonumore ogni volta che apre bocca, Marti, F, Ale, e altre persone che non vedevo da tempo.
Sia chiaro, l’unica cosa che abbia fatto vagamente intendere che quella in atto era una celebrazione di compleanno era la torta fatta in casa da me, [l’unica che so cucinare n.d.r.] che nonostante l’aspetto poco invitante ha riscosso un certo successo di pubblico con finale a sorpresa: Chiara e Raf che ne fanno fuori ben tre fette a testa impedendo così alla sottoscritta di assaggiarne anche solo la salsina al cioccolato.
E la torta è l’unico elemento che mi fa apprezzare i compleanni. 

Insomma, alla fine è andato tutto per il verso giusto e ho ricevuto in regalo, tradizione che viene rispettata da anni, ormai, un biglietto per un concerto: dopo Take That (?) e Incubus, quest’anno sono arrivati i miei adorati The Script e ogni volta che prendo in mano il foglietto giallo di Ticketone entro in estasi totale, è sempre un’immensa emozione.
Per la contentezza ho dispensato mega abbracci a tutti, anche al Raf che non sempre mi sta così simpatico, a Chiara che ultimamente non è esattamente quella che si può considerare la mia anima gemella, e al buon Ale che conosco da poco ma che è tipo il super amico più disponibile del mondo.

Il mio vero compleanno, però arriverà solo domani e come sempre sono preoccupata. Solitamente quand’è il momento sono depressa, molto, e per quel giorno tendo a voler chiudermi in casa e a non voler sentire nessuno, i messaggi li leggo tutti la sera e cerco di non farmi trovare. E’ che non ci trovo niente di allegro nel ricordare una data che è simbolo del fatto che ci si avvicina inesorabilmente alla decadenza fisico-psichica. Discorsi astrusi.
Ma è un fatto indipendente da me, alla fine i miei amici vorrebbero solo starmi accanto.
G mi ha proposto, per domani pomeriggio, un bel bivacco come ai tempi del liceo al parco. Solo, con aggiunta di vino. Saremmo io, lei, A e Mì. Ovviamente quando è stata introdotta la parola ‘vino’ non ho potuto assolutamente rifiutare per una questione di coerenza alcolica. E quando ho sentito dire ‘venerdì pomeriggio’ mi è venuto in mente che era il giorno libero di V e che il parco è sotto casa sua.
Perdona l’ora, ma lavori venerdì? L’anno scorso avevi dimenticato il mio compleanno, quest’anno te lo ricordo io. Scendi in Villa, io porto il vino e tu il tuo culo sfondato“.
No, lavoro tutto il giorno ma sono in pausa dalle tre alle sette“. (E qui penso, mi prendi per il culo?).
Ci sta, noi per le tre siamo giù“.
Sì, così forse finalmente rischio anche di vederti“. (Eri sibillino, amico?).

Ordinary life?

Il dramma di essere una persona totalmente disorganizzata e soggetta a panico da disorganizzazione (so che è leggermente paradossale) è quello di riuscire a circondarsi esclusivamente di persone peggio che disorganizzate, delle vere frane nel stabilire percorsi, raggiungere posti, trovare cose, rispettare orari.
Il livello di ritardo mentale dei miei amici si ramifica in varie categorie.
1) I ritardatari a prescindere. Qualunque cosa si intenda fare, meglio dire loro un orario che anticipi di gran lunga quello reale (il mio amico V è talmente rincoglionito che ci casca sempre, è un po’ più difficile per Gio, che oltre che ad essere una cazzo di ritardataria cronica credo faccia proprio apposta, quando si sente il fiato sul collo, a fare di tutto meno che prepararsi in tempo).
2) I poveri esseri senza senso dell’orientamento. Ovunque vogliate andare, loro devono dirvi che non ci sanno arrivare per un motivo o per l’altro e quindi dovete trovare un punto d’incontro abbastanza riconoscibile e che soprattutto sia contenuto nella loro memoria a chilometraggio limitato. E Marti ne è il perfetto emblema.
3) Gli ansiosi. Tipo me, però amplificati. Cercano in tutti i modi di mettere d’accordo tutti, di trovare passaggi per chiunque e per fare questo inondano coloro che hanno un’apparenza di calma (tipo me) di sms lunghi e sconnessi (Deb, se stai leggendo, ti voglio bene!).
4) Quelli che non rispondono al telefono. Se non dieci minuti prima dell’incontro. Tu puoi stare tutto il giorno a chiamarli, a farti prendere da crisi di panico per il futuro della vostra vita insieme, e loro staranno probabilmente dormendo, lasciando il silenzioso al telefono ben consapevoli del fatto che tu li stai cercando da ore. A e V, insomma, che sostanzialmente sarebbero fatti l’uno per l’altra in certi casi, ma secondo me rischierebbero di non trovarsi mai per problemi di telecomunicazione.
5) Chi si fa corteggiare. Tipo che fino all’ultimo non ti dicono se ci saranno o no perchè hanno altro da fare (che in realtà non è nulla, ma vogliono farti capire che TU sei esclusivamente una scelta LORO). 

Insomma, so che la maggior parte dei miei amici sono dei gran simpaticoni in proposito. Proprio tutti in realtà.
Chissà se stasera riusciremo ad organizzarci in maniera decente per fare qualcosa? (Fortunatamente non saranno tutti presenti altrimenti avrei dovuto radunare una task force).