When you hit me, hit me hard

Cosa che non immaginavo sarebbe successa di nuovo: ritrovarmi qui, la notte del 5 febbraio 2017, due anni dopo il mio ultimo post su questo blog, a cambiare il tema, scrivere, sfogarmi e cercare, come sempre quando qualcosa dentro di me si spezza, di dare una nuova forma, una nuova identità ai miei pensieri.

Credo di essermi preclusa troppo a lungo il piacere (e man, mano che sto scrivendo credo di poterlo definire un ‘dovere’ verso me stessa) di ritagliarmi il tempo e lo spazio per scrivere di me e per me. Della mia vita e per la mia vita.

Long story short: un bel giorno la musica, quella che amo senza riserve, quella che vive dentro di me e ha piazzato la sua bandierina sul pavimento del mio stomaco, mi ha messo sulla strada della persona più interessante che abbia mai incontrato. Di quelle che, senza che tu te ne renda nemmeno conto, diventano in poco tempo un pezzettino di quotidianità di cui non puoi fare a meno perché condividono con te sinceramente delle passioni, perché hanno sempre idee nuove che sono in grado di coinvolgere anche te – che in fondo sei sempre stata e resti un vecchio orso burbero – perché ti fanno capire che la tua opinione è importante, perché anche se vi separa un’intera penisola trovate il modo di tenere accesa la fiammella che vi unisce e, perché no?, il tempo per incontrarsi una volta ogni tanto per una birra o per condividere un po’ di fumo.

E sì, ammettiamolo, si tratta di una di quelle persone per cui stravedi. Si tratta di una di quelle bruttissime, terribili persone che sono in grado di portarti via il cuore senza che tu nemmeno te ne sia resa conto. Anzi, forse non se ne rendono conto nemmeno loro.

E’ passato poco più di un anno da che le nostre strade si sono incontrate e da allora, per un motivo o per l’altro non si sono mai completamente lasciate. Anche la mia potentissima armatura che, quando capisco che mi sta succedendo di nuovo (sì, brutta parola, ma mi stavo innamorando), mi permette di estraniarmi e correre ai ripari, nulla ha potuto di fronte alla potenza di un legame così forte e incomprensibile, o di fronte a quel carattere che non ne vuole sapere di lasciarmi andare, forse un po’ inconsapevolmente, chissà, ma che non mi lascia via di scampo.

Ah, quanto a lungo io e la mia armatura abbiamo provato a reprimere questa tremenda emozione, e quanto fortemente ricordandoci che la nostra emozione era (e resta) fidanzata con un’altra bellissima persona da un numero non ben definito di eoni. Eppure niente da fare, la razionalità è stata letteralmente una risorsa inutile in questo viaggio che, per quanto terribile, mi ha donato le emozioni più forti della mia vita.

Chi legge si chiederà: ma c’è stato qualcosa, tra questi due?
Assolutamente, innegabilmente, no. Niente di compromettente. Solo chiacchierate lunghe giorni interi, una strana ricerca di vicinanza fisica nei rari momenti di condivisione degli spazi, un appuntamento mancato, un’ammissione di colpa da parte del soggetto (“Mi chiedevo se fosse solo un’impressione che tu fossi un po’ più speciale rispetto agli altri… poi ti ho conosciuta bene e ho capito”; “Mi spieghi come sia possibile che siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda?”; “Mi manchi”).
Ho fatto di tutto per allontanarmi. Non ho risposto ai messaggi, o ho risposto male. Ho parlato a lui di storielle che ho avuto nel frattempo, un po’ per provare ad allontanarlo, un po’ anche per ripicca, chissà. Ho sempre ottenuto l’effetto opposto.

Ora, perché sto scrivendo questo sproloquio?
Se dicessi che lo so mentirei, ma ci provo. Negli ultimi giorni ho mollato un po’ il colpo, mi sono lasciata coinvolgere di nuovo, ho giocato a fare la cretina come è giusto che io faccia a 25 anni. Abbiamo condiviso ancora le giornate a parlare di musica, senza l’imbarazzo di scriverci anche più volte al giorno semplicemente perché avevamo trovato una nuova canzone o il video di un’esibizione in particolare. Ed è stato talmente bello che avevo dimenticato di non essere io la persona fortunatissima che vive la quotidianità accanto a lui.
Stasera, invece, ho dovuto fare i conti con lei, con la sua presenza nella sua vita, la sua simpatia e il suo volermi bene sinceramente. Mi sono sentita una stronza, e poi è montata tutta la gelosia del caso. Mi sono sentita una stupida, una sciocca, una scema e tante altre parole con la s. E mi sono arrabbiata perché so che la colpa non è solo mia. Lui sa cosa provo, per forza, e sa che io so cosa prova. Eppure fa apposta a coinvolgermi in questa sua routine strana e divertente. “Non è colpa tua” mi dice J “Hai a che fare con una persona che a 30 anni non è ancora in grado di gestire e affrontare quello che prova. Tu ti sei solo fatta trascinare”.
Vero. Ma quanto ancora devo continuare a farlo?

Sto scrivendo perché non merito che accada di nuovo che io passi un sabato sera come questo, con il desiderio di spaccare ogni singolo oggetto di fronte a me, merito di lasciare questa testimonianza e di ricordalo.
Merito una storia semplice. Merito qualcosa di sano. Merito di prendere le responsabilità che sono solo mie e non quelle di un uomo forse ancora troppo bambino per capire come vivere le proprie emozioni. Merito di non aver paura di ferire altri con il mio comportamento. Merito anche solo di divertirmi come ho fatto la scorsa settimana con una persona vera, con la voglia reale di fare l’amore e non quella di scrivere messaggi senza la minima carica sessuale, sperando solo che il ricevente sia da solo e non debba nascondersi anche per due parole innocenti.

Merito di meglio.

Mondi che crollano

Sono una vecchia ventiduenne.La gioventù è per me cosa passata, non ho bisogno di fare nuove esperienze o di provare le ultime innovazioni, in nessun senso.
È che avrei bisogno di una nuova cura, ora.
Sto male. Sto male che non stavo così male dai tempi in cui V mi faceva patire le pene dell’inferno. Sto tanto male da non trovare rimedio. E la cosa che mi fa più incazzare è che sto così, un’altra volta, per un maschio.
Poche persone nella mia vita mi sono interessate veramente, e con ‘veramente’ intendo in modo incontrollabile. Io, che sono una maniaca del mantenere gli equilibri, del tenere sott’occhio tutto quello che mi succede, con la pretesa di poter gestire anche le emozioni. E ci riesco, eh, ci riesco anche bene fino a quando non subentra questo stato d’animo.
Beh, insomma, dicevo che poche persone mi sono interessate nella mia vita, in questo senso, e con nessuna di esse ho mai concluso nulla. Il perché non me lo spiego. Non me lo spiego ora e non me lo sono spiegata quella sera, quando avevo la possibilità di agire. Capire. Buttarmi?
Non prendiamoci in giro, tanto non l’avrei mai fatto.

Come una vecchia adolescente pusillanime e imbarazzata non ho il coraggio di espormi, e mi lamento con un “Perché non mi nota?”.
Ventidue anni signore e signori. E non so ancora relazionarmi con un uomo.
Nonostante la mia proverbiale diffidenza verso il genere maschile, il mio conclamato disinteresse verso possibili storie romantiche, la mia pluri-dichiarata ricerca dell’indipendenza personale e della tranquilla solitudine, prima che della compagnia di un uomo… Sono qui, in camera mia, che non riesco a prepararmi per questo fottuto esame perché ho le lacrime agli occhi. Ciò che non ottengo e che non riesco a far capire di volere mi obnubila la mente e non ho armi contro questo.
Parlo con Eri e con la Sissi di questa storia, le uniche che ora sono in grado di capire. Non riesco a dirlo nemmeno ad A e G, mi sento così fragile. Mi vergogno così tanto di provare questo.
Mi vergogno anche di fronte a questo foglio di Word.
Al mio iPod. Devo mettere una playlist che mi aiuti a superare questo momento. Parto con i Ministri cercando la giusta dose di incazzatura e disillusione.
Ma poi prevalgono come sempre i miei Muse. E non vorrei rovinare la musica del mio gruppo preferito riempiendola di significati che riguardano questa situazione, che riguardano quel “lui”. Sono significati che non se ne andranno. Lo so perché ho già rovinato Undisclosed Desires per colpa di V, e ogni volta che parte il pensiero, anche se ora senza dolore, si rivolge a lui.

C’è una canzone dei Muse che condivido con pochi. È la mia preferita, una di quelle che non hanno mai fatto live. Il perché non lo so, ma credo che anche Matt  sia così emotivamente coinvolto (come me, insomma) in questo testo e in questa melodia da non potersi permettere di mostrarla al mondo.
Non la mostrerò nemmeno io, nemmeno ora, nemmeno qui. Ieri mi è capitata shuffle, in mezzo a 1851 canzoni che potevano capitarmi, e le associazioni indebite sono partite. Così come le lacrime, quelle lacrime che non versavo da mesi.

“Sto bene, non ti preoccupare, ma oggi gli ormoni sballati mi hanno portato a pensare anche a questo…”

Mi chiedono come mi sento. “Ti stai per laureare, sei l’orgoglio di tutti, hai intorno persone disposte a passare sopra i loro problemi pur di starti vicino in questi momenti”.
È vero. Momenti di gloria. Ho iniziato il corso di laurea magistrale e ho un futuro che si prospetta quanto meno interessante, davanti. Ho scelto la strada giusta per me. Mi sto per laureare nella triennale e so quanto duramente ho messo alla prova i miei nervi e la mia salute, nell’ultimo mese, per scrivere questa tesi, frequentare il nuovo corso e insieme lavorare come segretaria in palestra.
Lo sono. Sono fiera di me. E sono felice di vivere questo momento con delle persone meravigliose, con la valigia sul letto per tornare a Londra e la copertina turchese della tesi davanti ai miei occhi.
Sì. È tutto come deve essere.

Ma come mi sento?
Incompleta.
Ho giocato tutto su me stessa, e ho vinto, è vero. Ma non ho puntato su nient’altro. Niente.
Avevo intenzione di puntare su qualcosa, su qualcuno. Sono una codarda come poche. E ho lasciato scappare anche questo.

Non sono mai stata veramente innamorata, se non di un amore malato e ansiogeno e fortunatamente concluso. Mi chiedo se sarò mai in grado di innamorarmi davvero, e di puntare anche sul condividere questo sentimento con qualcuno. Ormai dubito. Devo avere qualche disturbo comportamentale.
Quando avevo l’occasione di capire, ho trovato, di mia spontanea volontà, i migliori escamotage per uscirne senza variazioni.
Sono solo una che ha paura di se stessa e di provare qualcosa. Ecco tutto. Ecco perché ho puntato tutto sul futuro, sugli studi e sulla carriera. Perché ho paura di affrontare il presente, e chi c’è ora.

Due febbraio

2 febbraio 2010, h. 23.41
Il tutto è avvenuto, nel modo più naturale possibile. Abbiamo parlato per due ore e mezza, ho capito tutto, o almeno, ho capito che avevo frainteso. E, qualunque cosa accada ora, non importa. Siamo legati da qualcosa di bello, amicizia forse. Pero c’è, e mi fa stare bene. Questo conta.
Ho diciotto anni, ho condiviso dei fazzoletti perchè entrambi siamo raffreddati, e un caffè, ho affrontato il primo appuntamento della mia vita e mi sono resa conto che snobbare quello che sento non è servito mai a nulla. Il raffreddore l’avrei preso comunque.

2 febbraio 2013, h.23.41
Ho appena realizzato che sono passati tre anni esatti e che perdendo V, ho perso un po’ di poesia. E un pizzico di magia.
E ci ho guadagnato la certezza di non avere più la minima voglia di cercarlo altrove.
Ora tocca al gin. Poi si vedrà.

Love is in the air

L’amore è nell’aria.
Eppure ancora non è primavera.

Almeno, non a casa mia. Da me è inverno inoltrato, di amore manco l’ombra, nemmeno di aria in realtà. La primavera è ancora un qualcosa di lontano e indefinito, e io sono in autunno inoltrato.

True love.

Giornate produttive, a livello di studio e contemporaneamente di rapporti, come questa, non ne vedevo da un pezzo.
Tra una colazione dolce, un pranzo cinese e un tè delle cinque, tra i pettegolezzi sul popolo lecchese bibliotecario che mi mancava assai (non è vero) e il meritato sfogo su V con le uniche che potevano capire, le mie migliori amiche, ho concluso un intero libro di pedagogia della psicomotricità.

E ho trovato un abbraccio sincero, delle risate vere.

Eun appoggio incondizionato in ogni tentativo di omicidio.

She

Oggi, per la prima volta in tre anni che passo metà delle mie giornate a Milano, A mi ha portata sui Navigli. E per la prima volta in tre anni, Milano è riuscita a darmi qualcosa.
Sono tornata a casa con queste vesciche sui piedi, dolore atroce a glutei troppo rilassati e polpacci mollicciosi. Ma il cuore tanto pieno, tantissimo.
E devo tutto a lei, la mia amica, la Migliore.
Le giornate così piene, le risate stupide, la filosofia e l’innocenza.

E’ che se incontri persone così, non puoi mica fartele scappare.
Perchè sono promesse che si rinnovano ogni volta che ci si guarda negli occhi.

Il primo taglio è il più profondo

“The first cut is the deepest”. Cat Stevens già lo sapeva.

Sono andata a dormire presto, ridendo per gli assurdi messaggi che Ale mi mandava da ubriaco, col buonumore e sperando di non sognare cose troppo astruse.
Avevo appena passato una giornata bellissima con le mie amiche di sempre e le rispettive famiglie, avevo ballato un lento con papà (ha dovuto approfittare dell’occasione perché non mi sposerò mai) e anche Raf mi stava quasi simpatico. Marti e Deb sono le solite amiche con cui ci si trova sempre bene, anche dopo anni, e poi c’era questo ragazzo dalla carnagione quasi di legno, Sam, sedici anni e mannaggiammè conosceva tutte le canzoni dei Beatles (dopo una sfida estenuante a colpi di titoli e ritornelli, ho comunque vinto io). Stavo veramente, veramente bene.
Sono riuscita anche ad addormentarmi subito, leggera e allegra.

Bzzzzzzz. Bzzzzzzzz. Maledizione, ho lasciato il telefono acceso.
Che poi per me dormire è l’attività più appagante della giornata, chiariamo, quindi già il fatto che mi si interrompa implica nervosismi vari.
Per abitudine controllo lo schermo, mezza assonnata. V. Erano anni che non ricevevo un suo sms nel cuore della notte, anni in cui ci ho sempre sperato. Se mi svegliavo, la prima cosa che controllavo era il telefono per vedere se magari il miracolo fosse avvenuto, ma non avveniva mai, se non quando stava tanto, tanto male e aveva solo me, solo e soltanto me. E io ho davvero fatto di tutto in quel periodo, mi sono veramente fatta in quattro per aiutarlo e per superare quella fase, perchè lo sentivo come un mio dovere; perchè lo amavo così tanto. Ma così tanto. Avevo continue sensazioni brutte e gli scrivevo per vedere se stesse bene, e le mie sensazioni erano sempre vere, c’era sempre qualcosa che non andava, prendevo la macchina, a qualunque ora, litigando coi miei, e correvo da lui. Dovevo. Ricavavo un “Grazie, sei la mia migliore amica”, e godevo quanto potevo ogni abbraccio e ogni sua lacrima, perchè potevo avere solo quello di lui, l’amore più forte della mia vita.

Ho letto questo messaggio senza capirlo, mi sembrava quasi rabbioso, c’erano tanti “Mi fido di te” che non riuscivo a collocare, tanti “Ho bisogno di parlare”. Tante cose che avrei voluto leggere a quei tempi.
Ma non ora.

E oggi, di nuovo, mi chiedo per quale motivo il suo sms mi abbia destabilizzata così tanto quando in fondo non era niente di che, era come sempre il mio amico che mi chiedeva aiuto, come in quell’aperitivo qualche settimana fa. Tranquillo. Cioè, si può respirare.
Però non ho fatto altro che pensarci, tutto il santo giorno, nemmeno rileggere i messaggi di Ale ieri sera mi ha fatto ridere, stamattina. Nemmeno la Sissi e i suoi trip; ok, lei mi ha fatto ridere, ma dentro ho ancora un taglio profondo.

E’ che appunto, come disse Cat, il primo taglio è il più profondo.
Amerò di nuovo come ho amato lui? Anzi, ne avrò di nuovo il coraggio?